Dalla medesima permanenza al Village Vanguard che aveva già dato luogo all’apprezzato «Small Town» (2017), ecco ora il seguito – forse non quello più atteso da molti estimatori – con una scaletta di pari durata, ma di nove brani (contro gli otto del primo disco), senza nessun originale (e vi è una differenza col precursore, che ne presentava tre). L’unica parziale sovrapposizione è rappresentata da Wildwood Flower, qui inglobata in un tutt’uno con Save The Last Dance For Me. Come si può ben immaginare, la temperie espressiva di Epistrophy presenta una marcata affinità con quella dell’album precedente, proponendo un’opera sostanzialmente speculare, votata all’introspezione e a un certo sguardo malinconico sulla musica, velato di ironia, persino simile nei contenuti (l’omaggio a Motian, come pure quello a John Barry e ai temi filmici bondiani, in questo caso la bellissima You Only Live Twice). Su Frisell, tutto è già stato osservato: circa la straordinaria varietà dei suoi onnivori interessi musicali, posta ai confini d’un rischioso eclettismo e tuttavia mai di maniera; sul suo magistero tecnico, difficilmente eguagliabile, che sa sintetizzare stile originale (come nell’uso delle molteplici modalità di manipolazione del suono che gli sono proprie), forza espressiva e brillantezza; persino, polemicamente, sulla pertinenza del linguaggio da lui elaborato, in quanto continuamente ampliato verso ambiti «altri». Anche sul duo le osservazioni sono già compiute, focalizzandosi su quel senso di raccolta intimità di cui già si diceva, che zampilla un po’ ovunque, e sulla giustapposizione di attitudini opposte (con Frisell sempre in fuga verso un mondo sonoro situato altrove e Morgan che si fa carico di radicarlo a una realtà più definita cedendo a volte ad analoghe tentazioni, come quelle cinematografiche), e forse proprio per questo così funzionale. Ma, malgrado tutto, la musica qui proposta – come molte volte accade a ogni «secondo tempo» – serve, completando un discorso, che quasi idealmente si chiude con una versione da brivido di In The Wee Small Hours Of The Morning. Si potrà usare, per esempio, con chi ingiustamente voglia ancora dubitare della sua veridicità, per rinverdire l’immagine di un Frisell jazzistico (si ascoltino il brano eponimo, Pannonica e, soprattutto, Mumbo Jumbo, incantevole ricordo del gruppo con Motian che sparigliò gli anni Ottanta e Novanta). Oppure, se lo si preferisce, quella del chitarrista-stregone che rimesta ancora nel calderone dell’Americana (Red River Valley). Oppure ancora cantare le lodi dello «strano duo» o di un Morgan che sa ancorare, sospingere, incedere e (sorpresa!) anche swingare.